martedì 16 giugno 2015

L’insegnamento di Steve Jobs applicato alla scrittura

Ci credereste se vi dicessi che il celebre discorso di Steve Jobs, pronunciato di fronte ai neolaureati della Stanford University il 12 giugno del 2005, può essere applicato con successo alla scrittura, o meglio, al modo personale e privato attraverso il quale ogni autore, emergente o famoso, crea storie, mondi e personaggi?
 
Non vi è alcun dubbio sul fatto che quelle parole siano rimaste impresse nella memoria di chi ha avuto il privilegio di ascoltarle dal vivo, ma anche di tutti quelli che le ascoltano e le leggono ancora oggi guardando i filmati su Youtube o i numerosi siti che le riportano.
 
Sono un pugno nello stomaco, quelle frasi, perché ci fanno riflettere su alcuni concetti ed eventi fondamentali nella nostra vita, in alcuni casi perfino inevitabili e che troppo spesso la nostra società, così concentrata sul piacere immediato, sull’apparenza, sulla quantità, sulla competizione, sulla vittoria in ogni ambito, tende a relegare ai margini, quasi si trattasse di “personaggi” scomodi di una storia che deve essere raccontata in una sola maniera.
 
In realtà, invece, la narrazione dei giorni vissuti da ogni essere umano non ha una “tecnica di scrittura precisa”, in quanto è unica per ognuno di noi.
 
Quel 12 giugno Steve Jobs narrò ai giovani e, in fondo, a noi tutti, la sua vita, il modo in cui “aveva voluto scriverla” o, qualcuno potrebbe obiettare, la maniera in cui il destino l’aveva scritta per lui.
 
Non ebbe esitazioni affrontando temi scottanti, come l’incessante scorrere del tempo, il successo e il fallimento, la morte, gli stati d’animo connaturati in noi, quali la paura o il senso di solitudine.
 
Se ci pensiamo bene, questi sono alcuni dei grandi temi su cui l’umanità ha speso fiumi di parole e di inchiostro. Li ritroviamo quando leggiamo un libro e li affrontiamo quando siamo noi a scriverlo (e, ovviamente, nella quotidianità).
 
Oggi quest’ultimo aspetto ci interessa in modo particolare. Come possono le parole di Steve Jobs motivarci nella scrittura, nei progetti da iniziare o portare avanti e nella creatività, soprattutto quando nascono gli ostacoli e il gioco si fa duro? Vediamo insieme il brano del discorso “protagonista” dell’articolo di oggi.
 
 
Il nostro tempo è limitato…
 
“Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro, non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone…”
 
Già queste poche parole, diciamolo, una certa inquietudine la mettono. Andiamo con ordine, però, perché in due righe sono racchiusi temi fin troppo importanti. Se da una parte tutti abbiamo a disposizione ventiquattro ore in un giorno e non è possibile chiederne di più (beh la fantascienza è arrivata anche a questo, noi poveri mortali ancora no e, chissà, magari è meglio così), dall’altra parte non sappiamo davvero di quanto tempo disponiamo.
 
Me ne rendo conto, non è proprio un discorso allegro però, di solito, funziona come un ben assestato calcio nel lato B e a noi, che dobbiamo essere pragmatici, va più che bene. Il tempo è una risorsa che non ha prezzo; una volta perso nessuno ce lo può restituire.
 
Sono certa che frasi come queste le avete lette e sentite migliaia di volte ma, chissà perché, la motivazione che vi donano non ha una lunga durata (a dire il vero il motivo c’è, ma sarà oggetto di un altro articolo).
 
Mettiamocelo in testa: il tempo è una moneta unica che possiamo investire o sprecare. La scelta è solo nostra. Scrivere, realizzare i nostri obiettivi, oppure aggiornare il profilo Facebook o rimandare a quando le circostanze saranno perfette pur sapendo che è solo una scusa e le condizioni non saranno quasi mai come noi le vogliamo.
 
Come possiamo applicare tutto questo discorso alla scrittura (o allo studio, o alla lettura, per
rimanere negli ambiti che ci interessano)? Nel modo più semplice che esista: sederci, prendere carta e penna o il pc e scrivere.
 
Non ci sono regole, non ci sono segreti. Scrivere ogni giorno, combattendo quella perfida vocina interiore che ci dice che domani saremo più forti, domani potremo fare di più, che un giorno non fa alcuna differenza. Niente riti propiziatori, né visualizzazioni, solo l’azione concreta da ripetere, ripetere e ancora ripetere.
 
La scrittura è un lavoro, richiede tempo, pazienza e tutta la nostra concentrazione. Queste sono tre parole magiche. Tutte e tre connesse. Il tempo, di cui abbiamo detto, possiamo immaginarlo come una sorta di palestra all’interno della quale possiamo allenarci alla vita e alla scrittura e, dunque, imparare e perfino sbagliare, senza vincoli di orario.
 
Gli attrezzi, nel caso dello scrittore, sono le parole, le correzioni, la lettura, la ricerca e via di questo passo. Più ci alleniamo con questi attrezzi, più il nostro muscolo della tenacia e della volontà si fortifica (questo accade anche in tutti gli altri ambiti della vita). Più ripetiamo, più insistiamo, soprattutto quando sbagliamo, più la scrittura si lega a noi e noi a lei.
 
E’ un esercizio continuo e che non ha mai fine. L’esperienza è un ottimo bagaglio, ma non può e non deve diventare mai una scusa per non migliorarsi o per evitare i confronti con noi stessi. Si può, però, sempre accrescere e migliorare, nella consapevolezza che la perfezione non esiste.
 
Dunque, abbiamo detto che il nostro tempo è limitato e che la scrittura richiede una certa dose quotidiana di questa inestimabile ricchezza per poter fluire e concretizzarsi in un racconto, un romanzo o un saggio.
 
Ciò significa che dobbiamo avere la pazienza di ripetere l’azione, di fare un passo indietro e correggere quando sbagliamo e andare avanti, “senza fretta ma senza sosta” come sosteneva Goethe. Non importa che ci piaccia o, che siamo obbligati per motivi esterni alla nostra volontà, scrivere al mattino, o la notte, per due ore o per tre. L’importante è farlo. Una parola dietro l’altra, una frase e poi un paragrafo. Questo solo conta. Non dobbiamo correre contro il tempo, né lasciare che scorra pigro. Dobbiamo solo agire dandoci la possibilità di raggiungere i nostri obiettivi.
 
Ciò significa anche che la scrittura non dovrebbe diventare una specie di sfida affannosa a chi arriva primo. Non conta la quantità, ma la qualità. Una storia ha bisogno di un periodo di “gestazione”, allo stesso modo in cui la farfalla, prima di diventare tale, è una crisalide in attesa di trasformarsi, di “nascere” nella forma compiuta. Una banalità? Certo, però vi assicuro che non è ancora chiaro per tutti.
 
La fretta può provocare danni come un allenamento fatto male o nei tempi sbagliati. Insomma, prendiamoci pure il tempo che ci occorre e usiamolo al meglio. Stiamo impiegando la nostra vita e solo a noi spettano le scelte più importanti.
 
Dobbiamo far fluire la storia dal nostro cuore e dalla nostra mente, elaborarla secondo ciò che vogliamo dire. Nessun altro può farlo al posto nostro; ci siamo solo noi e il computer (o foglio di carta). Questa è la meravigliosa responsabilità frutto della concentrazione.
 
Non pensate a quello che accadrà quando il vostro romanzo sarà ultimato; non createvi inutili e dannosi problemi. Avrete fin troppo tempo per questo. Siete qui e ora, non c’è altro se non il confronto con voi stessi.
 
 
Ascoltate la vostra voce interiore
 
“… Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario”.
 
Abbiamo già accennato al discorso dell’ascolto di noi stessi quando abbiamo parlato dell’importanza di essere pienamente e consapevolmente nel momento presente, davanti alle nostre storie e ai personaggi che abbiamo creato.
 
Nel frettoloso mondo moderno è sempre più difficile mettersi in ascolto delle nostre idee, perché ciò richiede una immancabile dose di tempo a disposizione ma, soprattutto, calma.
 
C’è chi non riesce a concentrarsi perché preso dalle varie distrazioni tecnologiche e non, chi ha perfino paura di rimanere da solo con se stesso, perché questo lo costringerebbe a guardarsi dentro, a riflettere, a posarsi su una cosa per volta senza l’illusione di poter fare cento cose in un’ora.
 
Con la scrittura non possiamo barare; ho sempre creduto, per esperienza personale, che le storie ci “parlino”, lavorino incessantemente nel nostro inconscio per venire a galla pian piano, fino a “spingere” per uscire, per vivere di parole.
 
Questa è sempre stata una mia opinione, almeno fino a quando non ne ho scoperto le basi scientifiche, analizzate nel libro “The Art of Thought” di Graham Wallace. C’è una vera e propria fase di “maturazione” dell’idea, una specie di incubazione o gestazione attraverso cui il pensiero si concretizza. Questo accade quando impariamo cose nuove.
 
E’ come se questa conoscenza si depositasse dentro di noi e iniziasse a scavare delle “gallerie” di pensiero prima sotterranee (cioè inconsce, latenti), poi sempre più evidenti e che, alla fine, si incontrano per dar vita a nuove idee per risolvere i problemi della vita quotidiana o… scrivere un romanzo.
 
Per tali motivi è importantissimo che continuiamo ad apprendere, che non ci fossilizziamo sui timori, sulle voci degli altri che ci dicono: “Tanto non serve”, “Tanto non puoi farcela”, “E’ inutile qualunque tentativo, perché il mondo va così”.
 
Steve Jobs aveva ragione: dobbiamo credere nelle nostre capacità; molti talenti vanno sprecati proprio perché si sono lasciati andare e sono caduti nella spirale negativa di chi non ha mai nemmeno provato a concretizzare un sogno e ha una paura tremenda di scoprire che, invece, si può fare grazie anche al giusto atteggiamento mentale (ho detto anche, perché non basta e di questo riparleremo), benché non sia facile per nessuno. 
 
In un certo senso dentro di noi esiste già, in potenza, la persona che saremo e che vogliamo diventare; nella scrittura tutto ciò si traduce in un’inclinazione per un certo genere, o uno stile preciso di vita e di lavoro.
 
Dobbiamo, però, fare in modo che questa “essenza” abbia modo di svilupparsi nei giusti tempi e nei modi più appropriati.
 
In questo primo articolo ufficiale de “La Penna Zen” abbiamo “rotto il ghiaccio”, iniziando con un argomento teorico ma pieno di concetti che verranno approfonditi. Rivediamoli insieme e, se vi fa piacere, raccontatemi nei commenti come fate a trovare la concentrazione per scrivere e cosa vi spinge a farlo:
 
  • Scrivere richiede tempo, pazienza, concentrazione e tenacia; tutti elementi che non sono infiniti. Spetta a noi riuscire a organizzare al meglio il primo, sapendo che gli imprevisti sono dietro l’angolo. Le ultime tre, poi, possono essere allenate come fossero muscoli della nostra personalità ma, proprio perché non sono inesauribili, bisogna accrescerle con piccoli progressi quotidiani.
  • Quasi nulla di ciò che facciamo nella vita è “semplice”; neppure la scrittura, dalla creazione di una storia alla pubblicazione. Per questo non bisogna scoraggiarsi ai primi tentativi, ma provare di nuovo “aggiustare il tiro” vedendo ciò che non va. • I momenti di scoraggiamento sono i più pericolosi perché rischiamo di rimanere impigliati in una rete di negatività, delle mille voci degli altri che pretendono di sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato per noi. In questa fase dobbiamo chiederci cos’è la scrittura per noi, stare in silenzio e ritrovare la vera natura delle nostre storie e seguirla insieme al nostro istinto. Il resto, parafrasando Jobs, è davvero secondario.
  •  La fretta è una perfida consigliera. Ci fa sbagliare, ci fa credere in una sorta di “gara” con gli altri inesistente in realtà e, infine, ci blocca rendendoci ancora più ansiosi. Meglio chiudere tutti gli elementi di distrazione (sì, anche i social network dove sembra che la vita e la scrittura degli altri splendano come mille soli. Ho detto “sembra” e non è un caso) e restare da soli, immersi nella quiete. E’ qui che le idee fluiscono meglio.
  • I fallimenti, ci piaccia o meno, fanno parte della vita. Non sono il baratro e non vanno vissuti come tali. Più semplicemente, sono spie, campanelli d’allarme che ci avvertono quando è il momento di cambiare o aggiustare la rotta. Conoscete la storia di Thomas Edison? Riuscire a far funzionar la lampadina elettrica fu una vera impresa. Gli ci vollero innumerevoli tentativi e altrettanti fallimenti. Durante un’intervista che metteva l’accento proprio su questi errori, Edison disse una celebre frase: “Non ho fallito. Ho solo trovato diecimila modi che non funzionano”. 
  • Fate “parlare” le storie nella vostra mente. Date voce e spazio a loro e non temete l’imperfezione, poiché diventerà una scusa per rimandare, sintomo delle vostre paure. Regalate ai personaggi la libertà di esprimersi e iniziate a scrivere. 
  • Infine date ascolto alle persone davvero fidate. Ci sono e non mascherano invidie, incapacità personali e critiche pungenti come stilettate dietro la maschera un po’ abusata delle “critiche costruttive”. Le riconoscerete, soprattutto perché tendono a fare economia di “no”, “ma” e “però” e a sostituirli con l’impegno, l’organizzazione e lo spirito d’iniziativa che non teme di viaggiare controvento.
 
Per finire, il video del celebre discorso di Steve Jobs. Per riflettere...

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